Storie marinare #4 – Alassio

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Il centro urbano di Alassio, oggi attrattiva località turistica, ha in realtà anche una storia piuttosto approfondita alle spalle. Nella quarta puntata della rubrica Storie Marinare, andiamo ancora una volta a raccogliere le testimonianze presenti nel libro L’epoca eroica della vela – capitani e bastimenti di Genova e della Riviera di ponente nel secolo XIX scritto da Gio. Bono Ferrari, 1941 Rapallo – Arti Grafiche Tigullio.

Nonostante i toni molto enfatizzati, il capitolo dedicato ad Alassio rappresenta uno spaccato molto interessante del paese e delle vicende che hanno coinvolto i suoi cittadini nel corso del XIX secolo.

Le storie marinare di Alassio

La bella e tanto accogliente città ponentina si chiamava, al tempo dei romani, Alaxum, ma una gentile e ancora radicata leggenda vuole che il suo nome attuale derivi da Adelasia o Alasia, la bella e bionda figlia dell’imperatore Ottone di Germania che, verso il mille, era venuta con il fuggiasco e prescritto Aleramo, Duca di Sassonia, a nascondere il suo amore ed i suoi figlioletti nelle fitte boscaglie dei monti alassini. Leggenda cavalleresca e bella, raccontata ancora oggi nei casolariposti sule propaggini di monte Tirasso che era stato, a quei tempi, nido di legnaiuoli e di carbonai.

Alassio è ad oggi una delle più belle e progredite città della Riviera di Ponente. I suoi quartieri nuovi, i suoi palazzi, le tante ville patronali, i suoi viali ricchi di palme e di fiori fanno della città moderna e dei suoi colli armoniosi come un grande scrigno di perle aperto sul nostro impareggiabile mare di Liguria.

Il Capo di Santa Croce da una parte e il Capo di Mele dall’altra chiudono e difendono il grande golfo lunato, nel centro del quale s’adagiano, in lenta ascesa verso i colli, i palazzi, le case e le casette della Alassio del secolo XX. Ma a dirla con le belle parole scritte anni fa dal chiarissimo Don Lazzaro De Simoni, la Alassio non è tutta qui. “E’ solo principalmente, o almeno più vistosamente, qui. Ma la città vecchia non è spenta, né vive solo di memorie; palpita e s’agita anch’essa e anch’essa offre i suoi incanti. Le sue vie, al modo di tutte quelle delle antiche città della Liguria e di tutti i borghi, sono lunghe e strette, con crocicchi e vicoli contorti e case modestissime benché linde addossate quasi attorno ad un’acropoli, che al postutto è una cappella o una chiesa o una torre, da cui pare ancora di udire dall’alto una squilla che chiami a ramengo i pescatori per qualche pratica interessante la comunità.

Oggi gli alassini non sono più dediti come un tempo alla pesca, alla lavorazione del corallo appresa dai catalani, alla navigazione e all’arte della seta. Fra le arti è ancora in fiore quella del mobilio, ma il maggiore sviluppo l’ha preso l’industria alberghiera, resa florida da una fervida e accorta propaganda, destinata ad accrescere ancora, se possibile, l’afflusso degli stranieri verso una plaga così amena e deliziosa, abitata da gente affabile e cortese in mezzo a cui non sono punto tramontate le tradizioni di laboriosità e di sobrio vivere di cui godettero sempre i forti e intelligenti figli di questa nostra terra.
Non tutti, del resto, gli alassini sono rimasti nel loro guscio, per quanto bello e dorato.

Altri si sono sparsi per il mondo a far vivificare i frutti del loro ingegno fervido e pronto, segnando orme profonde in ogni campo dell’attività umana, facendo rivivere le belle e indimenticabili figure del passato, dei secoli d’oro, che non mancarono in Alassio, sia nel campo del commercio e della navigazione, come in quello delle lettere e delle arti.

Alassio fu sempre un nido di marinai.

Nel 1600 e nel 1700 i suoi barchi, al par di quei di Laigueglia, ebbero in mano buona parte dei traffici da e per la Francia e per la Spagna. Molte famiglie del paese mercantavano allora fortemente nelle seterie e nei velluti – merce da nobili – come allora si diceva. Ed i velieri di Alassio erano quelli che trasportavano nei porti anche lontani, quei ricchi carichi apprestati da famiglie di censo, come gli Airaldi, i Boero, i Brea, Bogliuolo, Navone, Multedo, Alciati, Porsella ecc.

Viaggi avventurosi e perigliosi, perché sempre esposti al pericolo d’ una cattura o un arrembaggio.
E di scontri e di combattimenti con i corsari in paese se ne parla e se ne ricorda ancora, facendo i nomi di audaci Capitani come il Miralta, il Torre, l’Arduino, il Mainetto, il Morteo, il Fassio, il Rovaglio, il Chiappe e il Nattero. E gli anziani della marina vi parlano con orgoglio degli alassini che si trovarono a Lepanto e delle quattro galee che in quella celebre battaglia navale erano comandate da quattro figli di questa terra: Multedo, Boglioro, Freghetti, Scofferi.

E dell’ammiraglio Ippolito Nattero che Carlo V nominò Capitano Generale della squadra imperiale. Va da se che anche Alassio perdesse, per colpa della squadra e dei corsari inglesi (1793-1815) buona parte del suo naviglio. Ma quando si iniziò la nuova rinascita velica di Liguria anche Alassio, l’allora piccolo borgo che non era ancora unito alle case di frazione Coscia e di frazione Barusso, si ricordò di essere il degno discendente di coloro che avevano saputo affrontare e vincere i corsari saraceni del Mediterraneo e superare gli agguerriti cercatori di corallo venuti dalla Catalogna.
E fiero dei suoi ricordi e dei suoi vecchi Capitani di mare, si mise a costruire velieri e, cosa strana e veramente tipica degli armatori di Alassio, sui suoi cantieri non si costruirono altro, durante il secolo XIX, che delle scune, che i vecchi alassini appellavano “bombarde”.

Delle vecchie bombarde e degli sciabecchi dei navigatori alassini della prima metà del secolo XIX si hanno notizie confuse e spesso contraddittorie.
Daremo perciò soltanto i nomi di quei velieri di cui v’è traccia sicura nei registri della Regia Capitaneria di Genova e in quelli della delegazione di Spiaggia della città ponentina.

Bastimenti di Alassio dal 1800 al 1850

  • ASSUNTA – Bombarda – Comandata dal Cap. Giov. Chiappe
  • SANTA CATERINA – Bombarda – Comandata dal Cap. Emanuele Figassa.
  • N. S. DI LORETO – Sciabecco – Comandato dal Cap. Agostino Trucco.
  • IL VALOROSO – Sciabecco – Comandato dal Cap. Gaibisso E.
  • SAINT JOSEPH – Sciabecco – Comandato dal Cap. Morchio G.
  • LA PACE – Bombarda – Comandata dal Cap. Airaldo Antonio.
  • SANT’AMBROGIO – Bombarda – Comandata dal Cap. Figassa Giovanni.
  • N. S. DELLE GRAZIE – Bombarda – Comandata dal Cap. Figassa Agostino.
  • NUOVA SANTA CATERINA – Bombarda – Comandata dal Cap. Figassa Emanuele.

Della bella flotta mercantile che Alassio possedeva in sul finire del 1700, nulla di concreto abbiamo potuto trovare.
I vecchi del paese raccontano, per aver sentito dire, che i velieri fossero molti e di grossa portata.

Un anziano e dotto sacerdote della vecchia chiesa di Sant’Ambrogio ci disse una volta che molti di questi bastimenti, che facevano di preferenza i traffici di Spagna e Portogallo, erano armati grazie anche ai carati che le famiglie ricche e nobili di Alassio, pur non essendo di stirpe marinara, apportavano alle intraprese marittime armatoriali. E citò i casati di Brea, Moirano, Biancardi, Multedo, Elena, Alciati, Celesia, Oliva, Boero […].

Di bastimenti alassini della prima metà del secolo XIX che facevano la navigazione degli stretti si ricordano la scuna “Rosina” dei Garassino, che già nel 1835 faceva i regolari viaggi al Marocco, scalando a Mogador e Larache e Casablanca per la caricazione delle lane che i Garassino ed i Morteo acquistavano nel Marocco.

In paese si parla anche di un brigantino “Il Nuovo Dovere” e di una grossa bombarda, la “N. S. Delle Grazie”, che facevano i traffici del Portogallo, ma non si ricordano gli armatori. I bastimenti devono essere realmente esistiti, perché vi è la documentazione di un Cap. Mainetto di Alassio, armatore di navi, che già nel 1810 aveva fondachi da commercio ad Oporto.

Una cortese signora di Varazze, discendente di quel buon ceppo marinaro dei Recagno di Cogoleto, ci lasciò prendere visura di un raro documento Consolare del cui tenore non trovammo mai cenno nei tanti altri rapporti dei Consoli Sardi stabiliti negli approdi Sud-Americani. Come è uno scritto che interessa la storia della nostra unificazione ne diamo la fedele trascrizione:

Vice Consolato di S. M. Sarda – Santa Catalina del Brasile. – Anelante di piacere, mi faccio premura informarvi che S. M. Sarda, volendo che la stessa bandiera, che qual simbolo dell’Unione Italiana sventola sulle schiere da Essa guidate alla liberazione del suolo d’Italia dalla dominazione dello straniero, sia inalberata sulle navi di guerra e su quelle della marineria mercantile, ha decretato ed ordinato che le une e le altre inalberino qual bandiera nazionale quella tricolore italiana ( verde, bianco, rossa) con lo scudo di Savoia al centro e che lo scudo sia sormontato da una corona sulle navi da guerra. Spero poi dal vostro pattriottismo non solo l’adempimento dell’ordine di S. M., ma che vi solleciterete associarvi alle sensazioni di giubilo che provar deve ogni buon italiano per gli importanti e gloriosi avvenimenti della cara Patria, che fanno esultare di contento colui che si pregia, distintamente riverirvi ed essere: Il Vice Console di S. M. Il Re di Sardegna, Enrico Schutel – 28 agosto 1848 – Al Cap. Alessandro Recagno, Comandante il brick-goletta sardo “sorte”

Nota: – Questo Cap. Alessandro Recagno era nativo di Cogoleto, ma la scuna che comandava , la “Sorte” era dell’armatore Fugassa di Alassio. Questo raro documento rispecchia il clima rovente del nostro tanto bello ma contrastato Risorgimento. Di quando la bandiera dai tre colori sventolava già, e vittoriosa, sui campi lombardi. Ma dopo Novara i bastimenti di Liguria ripresero a far sventolare, fino al 1860, la vecchia e azzurra bandiera del regno di Sardegna. Bandiera che però aveva, ben inteso, nell’angolo superiore un rettangolo bianco ove spiccava la millenaria e gloriosa croce scarlatta dei genovesi.

Bastimenti di Alassio dal 1850 al 1900

  • CAROLINA – Brigantino – Cap. Nicolò Garassino, che sulle coste del Marocco salvò l’equipaggio della nave spagnuola “Anna Teresa” nel novembre del 1862.
  • NUOVO BUON PADRE – Brigantino-goletta – Che era comandato dallo stesso armatore Cap. Carlo Chiappe.
  • MARINETTA – Brigantino-goletta – Che era comandato dal Cap. Giovanni Secondo.
  • SANT’ANNA – Goletta – Il Cap. Lombardo Rocco di Alassio, trovandosi nell’inverno del 1870 a caricare vino ad Alghero, saputo che al largo, presso lo scoglio del Traditore era naufragata la barca “Addolorata” armava una lancia equipaggiata dai suoi marinai e con un tempo da inferno usciva dal porto per recare soccorso ai naufraghi. E dopo una lotta di ben quattro ore riusciva a salvare Padron Scognamilio ed il suo equipaggio. Fu fregiato di medaglia d’argento al valore.

Al tempo aureo della vela, Alassio ebbe un attivo e redditizio traffico con la Francia e l’Inghilterra per il commercio dell’olio di oliva. Fino al 1840 Alassio ebbe inoltre delle barche addette alla pesca del corallo. Fu centro assai rinomato per la lavorazione del tonno, che veniva esportato a mezzo di velieri alassini.

Una delle antiche ditte che più resistette alla concorrenza degli industriali genovesi fu quella del Cav. Giuseppe Morteo e Figlio. Nell’antico borgo si lavoravano egregiamente grossi cordami di canapa e di cotone per l’uso delle navi. Verso il 1860 si era fondato uno stabilimento che preparava, in scatolame, pesci, carne e verdure per le provviste di bordo. Alla stessa data molte feluche ponentine caricavano ad Alassio forti quantitativi di aranci, limoni, frutta ed ortaggi d’ogni specie che trovavano facile smercio a San Remo, Nizza e Mentone. Sempre alla stessa data, ossia verso il 1860, varie Scune di armatori alassini si dedicavano ancora al caratteristico traffico della paccottiglia.

Il Prof. Beniscelli, tenace valorizzatore della Alassio velica, egregio artista e appassionato studioso della storia alassina, ci ha lasciato prendere visura di antichi contratti di “paccotiglia” stipulati dai navigatori-mercanti alassini dell’epoca 1840-1860. Dagli stessi si apprende come, in relazione ai tempi, fossero importanti gli interscambi fra Alassio e le isole di Corsicae di Sardegna. Si tratta di partite di paccottiglia preparate e confezionate ad Alassio, per le somme registrate di 35 mila e di 42 mila lire come media.

E di quei lunghi contratti meticolosamente stillati figurano i tanti capi di biancheria, le camicie da uomo, le bluseda lavoro, i pantaloni alla francese, le pezze di panni-lana e di bordatto; i rotoli del calicò e dei tessuti “spiga” per i pantaloni da lavoro. E di fasce per neonati, tela da macramè e da pezzotti. Tutta merce che rimaneva lungo gli approdi delle isole. E che quando non si vendeva la si barattava per cacio sardo, per grano duro, per olii e per lane greggie.
Prodotti che gli alassini sapevano ove smerciare con sveltezza e profitto.

  • NOSTRA MADRE – Bombarda – Armat. Cap. G.B. Frugone.
  • GENITORI – Bombarda – Armat. Cap. Giovanni Fugassa.
  • EDIPO – Bombarda – Armat. Cap. Carlo Chiappe.
  • SETTIMIO – Bombarda – Armat. Cap. F. Fugassa.
  • SAN PIETRO – Bombarda – Armat. Cap. A. Arduino.
  • CAROLINA – Bombarda – Armat. Fratelli Enrico.
  • DOLORATA – Bombarda – Armatori vari caratisti.
  • DUE COGNATI – Bombarda – Armat. Cap. Giuseppe Murchio.
  • ADDOLORATA – Bombarda – Armat. Fratelli Torre.
  • ADELASIA – Bombarda – Armatori caratisti vari.
  • SAN GIUSEPPE – Bombarda – Armat.Cap. G. Murchio.
  • COSTANTE – Bombarda – Armat. Fratelli Enrico.
  • ALESSANDRO – Bombarda – Armat. Cap. Torre Giuseppe.
  • GESÙ E MARIA – Bombarda – Armat. Cap. G. Chiappe.
  • S. ANNA – Cotre – Armatore Cap. Lombardo.
  • GIULIO CESARE – Nave goletta – Armat. Cap. Bonavia.
  • PIETRO E PAOLO – Nave-goletta – Armat. Fratelli Enrico.
  • AMABILE MARIA – Nave-goletta – Armat. Cap. F. Fugassa.
  • ALASSIO – Nave-goletta – Armat. Cap. A. Arduino.
  • SANT’ANTONIO – Nave-goletta – Armat. Cap. A. Nam.
  • GALILEO – Nave-goletta – Armatori caratisti vari.
  • STEFANO – Nave-goletta – Armat. Cap. Cav. Carlo Chiappe.
  • BUONA MADRE – Nave-goletta – Armat. Cap. Cav. Carlo Chiappe.
  • BUON PADRE – Nave-goletta – Armat. Cap. Cav. Carlo Chiappe. Il Cav. Carlo Chiappe fu in seguito armatore di un piroscafo che era comandato da Cap. Alciatore.
  • MARINETTA – Brig. Goletta – Armat. Cap. Bernardo Secondo.
  • ATTENZIONE – Brig. Goletta – Armat. Cap. C. Chiappe.
  • AURORA – Goletta – Armat. Cap. F. Fugassa.
  • MAGGIORE TOSELLI – Brig. Goletta Armat. Cap. Luigi Grollero.

Prima dell’apertura della linea ferroviaria lungo la riviera di ponente, Alassio possedeva anche dei velieri adibiti al regolare traffico Alassio-Genova e viceversa per il trasporto di merci e passeggeri. Si ricordano il “Corsaro” che era di Cap. Arduino, lo “Sciabecco” che era di Cap. Torre, il cotre “Gesù Maria” e il cotre “Stella”. I due buoni cantieri di Alassio, sui quali vennero costruiti quasi tutti i bastimenti sopra elencati erano quello di FazioGio. Batta Gabriele e quello dei Girardi.

Di Capitani di mare alassini che operarono nel Mediterraneo nella prima metà del secolo XIX, specialmente per i traffici delle isole e per quelli di Provenza e di Catalogna, si ricordano in paese i seguenti: Cap. Enrico Agostino, Cap. Enrico Giovanni, Cap. Enrico Matteo, Cap. Enrico Pietro, Cap. Enrico Paolo, Cap. Airaldo Antonio, Cap. Airaldo Francesco, Cap. Airaldo Gio. Batta, Cap. Airaldo Domenico, Cap. Airaldo Giuseppe, di Capitani dal cognome “Airaldi” si ricordano i seguenti, alcuni dei quali furono armatori di bombarde per i traffici di Sardegna: Cap. Airaldi Giovanni, Cap. Airaldi Gio. Batta, Cap. Airaldi Luigi.

Dei Garassino si ricordano: Cap. Garassino Basilio, Cap. Garassino Celestino, Cap. Garassino Erminio, Cap. Garassino Giuseppe, Cap. Garassino Gio. Batta, Cap. Garassino Pietro, Cap. Garassino Luigi, Cap. Garassino Nicolò.
Dal 1820 al 1850 si riscontrano vari Capitani del casato Fugassa. Ma anziché con il cognome attuale, figurano con quello di Figassa.

Si ricordano: Cap. Figassa Agostino, Cap. Figassa Emanuele che comandava la bombarda “Nuova Santa Caterina”, Cap. Figassa Antonio e Cap. Figassa Giovanni. Quelli dal 1850 al 1876 figurano invece con il cognome Fugassa: Cap. Fugassa Gio. Batta, che comandava la bombarda “Nostra Madre”, Cap. Fugassa Giovanni che comandava la scuna “Genitori”, Cap. Fugassa Andrea, Cap. Fugassa Francesco nonno dello scrittore Arrigo Fugassa che comandava l'”Amabile Maria”, una grossa scuna di sua proprietà. Una bombarda “Santa Caterina” era comandata dal Cap. Fazio Giuseppe.

Di Capitani ed Armatori che navigarono al comando durante la seconda metà del secolo XIX si ricordano: Cap. Paolo Airaldi, Cap. Francesco Airaldi, Cap. Ignazio Nattero, Cap. Fugassa Agostino, Cap. Antonio Airaldi detto il “Poè”, Cap. Settimio Fugassa, Cap. Basso Vincenzo che comandò lo ship “Agostino Rombo” di Genova, Cap. Rettore Pasquale, Cap. Torre Giuseppe, Cap. Nattero Luigi, Cap. Torre Pasquale, Cap. Falca, Cap. Torre Domenico, Cap. Enrico Luigi, Cap. B. Bonavia, Cap. Luigi Murchio, Cap. FabianoGio. Batta, Cap. Alciatore Giuseppe, Cap. Carlo Chiappe, Cap. Torre Michele, Cap. Paolo Enrico, Cap. Pietro Enrico, Cap. Fugassa Nicola Lorenzo, Cap. Arduino Agostino, Cap. Nam Giuseppe, Cap. Airaldi Francesco, Cap. Gio. Batta Gaibisso, Cap. Salietto Leonardo, Cap. Grollero e Gorlero Luigi, Cap. Fugassa Francesco e il buon Capitano Treglia.

Anche Alassio mandò, specialmente al Plata, una intraprendente emigrazione. Dei più antichi si ricordano i vari Enrico, gli Airaldi dei quali uno era Capitano, i Fugassa, i due Gorleto, un Padrone Secondo che a Buenos Ayres comandava il veliero”Teresita”, i vari Fazio che ebbero negozi di “almacen” e un Airaldo che aveva alla Boca de Riachuelo un magazzeno da tessuti. Il signor Giuseppe Morchio fu uno dei primiad esportare a Buenos Ayres l’olio d’oliva.
Fece molti viaggi al Plata accompagnando, come si usava allora, le proprie partite di merci, per negoziarle di persona.
Più tardi fu armatore di velieri. I suoi commerci con Buenos Aires, che furono di mole, furono in un secondo tempo ampliati dal fratello Carlo Morchio.

Un Airaldi aveva fondato commerci a Rosario di Santa Fe. Un altro Alassino nativo di Borgo Coxia e ce a Rosario è ricordato come “Don Antonio”, possedeva un grande negozio di almacen. A San Nicola de los Arroyos vi erano stabiliti i fratelli Gazzella. Al Riachuelo di Buenos Ayres ebbero commerci Tomaso Nattero, vari Siffredi, Francesco Fugassa, Pugliano Giovanni, Fugassa Giuseppe, Maggiorani Paolo, Basso, Gorlero, Fazio, Airaldo Giuseppe, e il Cap. Siffredi Giovanni. Numerosi alassini invece si conservarono fedeli alle vecchie vele.

Fra coloro che negli approdi del Rio Uruguay e del Rio Paranà comandarono velieri per i traffici di cabotaggio si ricordano i seguenti Padroni: Lazzaro Nattero, Giuseppe Rovero, Mario Barbero, Giovanni Cervetti, Pietro Ravella, Angelo Barbera, un Padrone Nattero che comandava il “San Giuseppe” per i traffici di Concordia e Paranà, Padrone Carlino che comandava il veliero “Armonia”, Padron Giacomo Garassino, Padron Airaldi Filippo, Padron Baldassarre che comandava “El Valiente” per i traffici del carbone di legna, Padron Fugassa Agostino, Padron Barbera che era armatore dei pailabots “Santa Catalina”, Padron Pelle Vincenzo e un Capitano di lungo corso Fugassa che ad Alassio era stato armatore di velieri e che al Plata comandò prima dei bastimenti e poi un vapore fluviale.

Anche un Cap. Giuseppe Airaldi dimorò lungo tempo al Plata. Un Mainetto, nostromo del brigantino di Nervi “N. S. Della Speranza”, che da Montevideo aveva portato in patria Giuseppe Gribaldi e parte dei suoi legionari, emigrò più tardi al Plata per comandare bastimenti fluviali.

Un Gismondi detto il ” Pende” comandò molti anni un paliabot dei Mainetto per i traffici del Gualeguaychù. Un altro Gismondi comandava un patacho dei Cichero di Recco. Giambattista Gismondi e Lorenzo Gismondi comandavano al Riachuelo piccoli velieri da cabotaggio. Un Padrone Garassino comandò di persona (1874-1884) il suo veliero “Nueva Real Trinidàd” per i traffici fluviali dell’alto Paranà.

Padron Gaibisso di Alassio era armatore di tre bastimenti di grosso tonnellaggio. Lui comandava di persona l'”Alassio Triunfante” per i traffici dell’Uruguay. L’altro suo bastimento, il “Gloria de Alassio” era comandato da Cap. Nattero. Il suo terzo veliero, lo “Isabel Gaibisso” fu comandato per ben quindici anni dal Cap. Bollo Romolo fu Gio. Batta nativo di Deiva.

Navigatori e pionieri alassini al Marocco

Se i Guagnino di Celle Ligure scrissero una bella pagina di audacia e intraprendenza commerciale nell’allora poco conosciuto Marocco, quella che si potrebbe anche chiamare la piccola dinastia dei vari Garassino di Alasio ne scrisse una ancor più luminosa.

Per parlare di questa gente dura e tenace e dei suoi caparbi Capitani di mare, bisogna però fare un passo indietro e sostare per un momento nella Gibilterra del 1800. Di quando in detta città vi era già preponderante, una intera colonia di genovesi, di quegli stessi genovesi ai quali l’antica Inghilterra, un tempo, aveva chiesto ed ottenuto il permesso di mettere la rossa croce del nostro San Giorgio sulla propria bandiera, acciocché le navi, le merci e le genti britanne fossero rispettate dai predoni del mare.

Gibilterra ebbe dunque, dal 1770 al 1800 una numerosa colonia genovese eminentemente marinara.
La documentazione forse non esiste nei libri, ma se si visita oggi il cimitero della Caleta, situato proprio sotto la Rocca, si trovano nelle tante piccole croci i tanti cognomi tipici di Camogli, Nervi,Genova, Savona, Noli, Alassio, Porto Maurizio e San Remo: Lavarello, Mortola, Sanguineti, Revello, Drago, Antola, Baglietto, Camisuli, Pittaluga, Garibaldi, Pozzo, Descalzo, Galleani, Cardona, Canepa, Anfossi, Capurro, Canessa, Badano, Cuesta, Durante, Chiossone, Poggi, Cerutti, Dagnino, Corsi, Saccone, Bado, Cuneo, Salvo, Figari, Maglione ecc.

A tutti questi liguri si erano poi uniti, all’epoca della Rivoluzione francese e nei primi anni dell’Impero Napoleonico, molte cospicue famiglie genovesi che mal sopportavano il giogo straniero. Fra queste vanno ricordate le famiglie dei Marchesi Recagno, i Pallavicino, i Raggio ed i Galliano. Ma quello che più conta per noi, anche gli armatori di navi Celesia, Bardonne, Garbarino, Guastavino, Piccaluga, Pittaluga, Piccone, Caorsi e Parodi, i quali da Gibilterra cominciarono subito ad intraprendere scambi col vicino Marocco, col Portogallo, con Madera, Inghilterra e, si capisce, anche con Genova. E quando i loro bastimenti non bastarono più, noleggiarono quelli delle parentele rimaste nel Genovesato.

Con un crescendo di tale importanza che persino l’idioma, della Gibilterra del 1815, era molto più genovese che inglese.
Del resto, lo abbiamo documentato nel capitolo di Albisola, il più grande mercante e il più grande armatore della città era il Cap. Giacomo Galleano. I bastimenti liguri di Gibilterra ed i bastimenti degli armatori di Liguria furono quelli che iniziarono i traffici con il Marocco. Portavano su quelle spiagge, ossia a Ceuta, Tangeri, Larache, Mazagràn e Mogador tessuti, zucchero, generi coloniali, vetrerie, chincaglierie e ferramenta varie.

Molti articoli si vendevano ma i più venivano barattati con lane, cereali, pelli salate o seccate, cera vergine, piume di struzzo e anche polvere d’oro. I nostri vecchi chiamavano questi traffici: “campagne del Marocco”, che si effettuavano in primavera per trovarsi sul posto pronti per la caricazione dei cereali che si mietevano al Marocco nel mese di maggio.
Durante i mesi invernali quelle coste non erano frequentate causa la mancanza di porti e rifugi.
Per intensificare questi traffici era naturale che certi liguri intraprendenti si fermassero laggiù.

Fra costorovi furono, proprio per primi, i Garassino di Alassio. Il primo fu A. Garassino. Il secondo fu Giuseppe Garassino fu Basilio che, associatosi a Carlo Morteo fece rifiorire gli stabilimenti – i fondachi- di Mazagràn e di Casablanca.
E prima di loro frequentò le coste del Marocco il Cap. Basilio Garassino con la sua scuna. Anche il Cap. Gio. Batta Garassino, che fu poi armatore di bastimenti ad Alassio, aveva avuto una parentesi commerciale al Marocco. Il Cap. Nicola Garassino invece stette sempre al comando di bastimenti che dal Marocco portavano i prodotti a Lisbona, Liverpool e Bordeaux.

Il brigantino che più comandò fu il “Carolina” del quale era l’armatore. Anche i Capitani Emanuele Balestrino, comandando l'”Amabile Teresa” e il Cap. Diego Pagliano comandando la “Amicizia” stettero a lungo in quei traffici, trasportando a Londra e nei porti della Scozia i prodotti accentrati dai Garassino e dal Carlo Morteo. Questi velieri ritornavano a Gibilterra carichi di carbone minerale per i liguri Revello che erano i più forti negozianti carboniferi del porto franco.

Nel 1844 vi fu l’insurrezione delle Kabile. E fu sul brigantino “Rosa”, che era dei Garassino e su un brigantino di Camogli che si poterono salvare i pochi europei che furono portati a Gibilterra.
Più tardi, verso il 1855, andò a stabilirsi a Mazagràn persino il medico Nicolò Garassino di Giovanni che era dello stesso casato.

Un altro ragazzo di questa famiglia, naufragato con un bastimento di Liguria, rimase al Marocco all’età di nove anni. Si chiamava Basilio Garassino ed era figlio del Cap. Gio. Batta. Quasi alla stessa data il Cap. Giuseppe Garassino di Basilio perdeva la vita e il suo bastimento al largo di Capo Spartel.

Nell’inverno del 1862 e durante una violenta bufera il Cap. Nicolò Garassino, comandando il suo bastimento “La Carolina” salvava sulle coste del Portogallo l’equipaggio di una nave spagnuola diretta in America. Come er eseguire questo difficile e nobile salvataggio egli si era visto smantellare il suo veliero, il governo di Spagna gli offrì una cifra per il risarcimento dei danni, ma il degno Capitano d’Alassio la rifiutò dicendo che non aveva fatto altro che il suo dovere. Allora il Governo di Spagna gli decretò una medaglia d’oro al valore.

Verso il 1868 moriva di colera il Cap. Giovanni Garassino di Nicolò che era rimasto a tutelare gli interessi del casato a Mazagràn. Nel 1870 circa, i fratelli Giuseppe e Basilio Garassino dirigevano gli stabilimenti di famiglia a Casablanca. Qualche anno dopo partiva da Alassio il fratello minore, Nicolò Garassino, che fu mandato al fondaco di Mazagràn. Basilio Garassino fu Console d’Italia, della Grecia e del Belgio.

Nicolò Garassino sposò più tardi la figlia del Console Inglese signor Lapehen. Verso il 1895 il Console Basilio Garassino, dopo anni di vita e intraprendenza marocchina, se ne ritornò nella sua Alassio. Nel 1907 scoppiò a Casablanca la sanguinosa insurrezione delle Kabile. Nicolò Garassino che fungeva da Console Italiano, non abbandonò la città e il suo comportamento fu tanto valoroso che fu decorato con medaglia al valore dal Governo belga e con la croce da cavaliere da quello italiano. Come durante la stessa insurrezione nei grandi magazzeni dei Garassino erano stati completamente saccheggiati e distrutti, questo tenace e valoroso pioniere, dopo ben quarant’anni di vita marocchina, se ne ritornava anche lui ad Alassio.

Qualche anno dopo faceva ritorno in Patria anche suo fratello Giuseppe Garassino. Ma laggiù, e a Tetuan, a Casablanca, a Tangeri, a Mogador e a Mazagràn rimasero i figli e i nipoti, che tengono sempre alto, in terra africana, il buon nome dei vecchi navigatori di Alassio.

Quanto sopra per quello che si riferisce ad Alassio. Ma giacché siamo in tema di osamenti e di antiche intraprendenze liguri al Marocco, consideriamo un dovere annotare ancora brevi notizie che onorano altri vecchi e purtroppo dimenticati pionieri di Liguria. E le annotiamo oggi con più emozione e con più amore che in passato.

Perché ormai, grazie a Dio, è sorta la passione per gli studi coloniali e per quelli dell’antica nostra emigrazione. Iniziandosi così, finalmente, quel doveroso movimento destinato a far conoscere a tutti, proprio a tutti, l’ineguagliato valore dell’apporto del nostro lavoro, della nostra cultura, della nostra civiltà, del nostro pensiero, dei nostri osamenti e del nostro tanto penare e operare in tutti i nuovi paesi del mondo.

Saranno così ricordati e onorati tutti gli italiani, anche gli oscuri, anche i modesti, anche quelli che non furono mai nominati perché non trionfarono né nelle savane, né negli altopiani, né nelle Pampas. Che non trionfarono, ma che diedero lo stesso, per la valorizzazione del Marocco, della Tunisia, della Algeria e per la civiltà dei paesi d’America, per l’agricoltura dei paesi d’America, per la grandezza dei paesi d’America, il loro onesto sudore, il loro sangue e la vita stessa!

Un caro Nonno, quando tanti anni fa parlava dell’intraprendenze degli osamenti dei liguri sulle coste del Marocco, ricordava, oltre i tanti Garassino di Alassio, anche Andrea Guagnino, i vari armatori Capitani Silombra e i Gambetta, tutti nativi di Celle Ligure, nonché i Gaggero di Pegli.

Diceva inoltre che già prima del 1830 un Capitano Giovanni Andrea Odero, genovese, armatore della bombarda”Sant’Andrea”, possedeva fondachi a Mogador e che anni dopo ne aveva fondato altri a Mazagàn. Che il Cap. Pietro Ferraro di Quintotrafficava su quelle coste già al tempo dei camogliesi, 1825-1835 con la sua scuna “Carolina” che più tardi naufragò carica di zucchero, di tessuti e di chincaglieria al largo di Mazagàn.

Che veri pionieri al Marocco erano stati i vari Montanaro, ossia Cap. Antonio, Pietro e Felice, zii del Carlo Morteo che poi tanto onore si fece delle intraprendenze commerciali marocchine, istituendo persino una linea regolare di navigazione fra Mazagàn e l’Inghilterra a mezzo di tre scune di sua proprietà, che portavano anche in Scozia cuoia, cereali,miele, cera ed altri prodotti.

Che Cap. Antonio Montanaro già prima del 1830 dopo aver fondato lo stabilimento di Mazagàn era riuscito a farsi costruire dal Sultano Mulay ed a ottenerlo in perpetuità , il Maghzen di Casablanca, essendo già allora Console del Re di Napoli.
Che Carlo Morteo, verso il 1856, era arrivato a possedere, per i suoi traffici all’Inghilterra e ai porti del Mediterraneo, una flotta di venti brigantini e scune.

Anche Alessandro Centurini, stabilitosi a Mazagràn, spediva a Genova dei carichi di cereali e di cuoia e lana. Così dicasi di Cap. Gaetano Balestrino che doveva essere di Nervi. Un altro pioniere di Liguria, Cap. Quartino, morì di colera a Larache. Carlo Morteo, che al Marocco era considerato una vera potenza, fu colui che in unione al figlio Alberto aveva persino saputo fondare un vero e regolare servizio di posta, da Mazagàn a Marrackeck, istituendo quei famosi “vekkàs”, ossia pedoni assai celeri, che in poco più di ventiquattro ore percorrevano i duecento chilometri di percorso.
Il capo della posta a Marrackeck era il genovese Leopoldo Granara. E genovesi e liguri erano gli altri pionieri come i Carrara, gli Spotorno, i Saffi, i Corsi, i Ratto ed i Recagno.

Marzo 15, 2019
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