Storie marinare #10 – Andora

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Un po’ tutte le località rivierasche, oggi prevalentemente legate al turismo, hanno un passato legato al mare ricco di aneddoti e di spunti interessanti.

Sotto questo punto di vista, Andora non presenta sicuramente eccezioni. . Per la rubrica Storie Marinare infatti, ci occuperemo proprio di questa cittadina, andando ancora una volta a dare un rapido sguardo al prezioso libro L’epoca eroica della vela – capitani e bastimenti di Genova e della Riviera di ponente nel secolo XIX scritto da Gio. Bono Ferrari, 1941 Rapallo – Arti Grafiche Tigullio.

Ovviamente, trattandosi di un libro risalente a settant’anni fa, alcune parti del testo potrebbero risultare dal suono particolarmente bizzarro al giorno d’oggi.

Si potrebbe scrivere che è un paese composto di cinque paesi. La vecchia capitale, il centro, è a San Pietro. Ma le sue altre quattro frazioni, Conna sul Monte, Rolla sulla collina e San Bartolomeo e San Giovanni verso la piana, sono quattro veri paesi con caratteristiche proprie e inconfondibili.

Paesini dalla storia millenaria. Ma nei quali i ricordi di mare stanno svanendo. Per sapere qualche cosa di concreto il cortese Pievano ci indirizzò a una casetta bianca posta in mezzo di un folto uliveto. Sulla soglia, godendosi il sole e fumandosi la pipetta se ne stava seduto un vero patriarca.

“In gioventù feci il marinaio e navigai a lungo con il Capitano Giulio Giacinto che era nativo di Andora”, ci disse il bel vecchio dalla barba bianca, “ Poi lasciai di navigare e mi dedicai alle cure del piccolo uliveto ereditato dai miei vecchi. A quei tempi, vedete, molti giovanotti del paese usavano fare lo stesso. Erano, si potrebbe dire, dei marinai-agricoltori. Viaggiavano in gioventù, ma quando si accasavano diventavano terrieri e si dedicavano alla cura dei campi e all’olivicoltura. Allora non vi erano malattie negli uliveti. Ed i raccolti erano assai copiosi. Lo si vendeva, il più buono, a 0,85 al litro. Ma pur cosi si viveva bene. Il nostro olio era rinomato.

Alla marina di Andora, sulla sinistra del Merula, approdavano spesso dei laut di San Remo e dei layatti francesi che ne acquistavano dei carichi interi.

Ai tempi del Cap. Cav. Agostino Pagliano, che era un uomo veramente in gamba, alcuni dei nostri navigarono con lui per i viaggi del Pacifico e per quelli di Rangoon. Durante uno di quegli interminabili viaggi, due marinai di frazione San Giovanni disertarono al Callao. Dopo molti anni si seppe in paese che essi erano andati a lavorare nelle miniere d’argento dell’alto Perù e che avevano fatto fortuna. Non ritornarono mai più in Patria. E non ritornò mi più anche un altro nostro baldo marinaio nativo di frazione Rollo, il cannoniere Giuseppe Garassino della R.N. “Ettore Fieramosca”, che trovandosi di stanza ad Assab si offrì volontario per quella spedizione del Cap. Giulietti di Casteggio, completamente massacrata in Dancalia nel maggio del 1881.”

“Ed ora vi dirò una cosa che vi sembrerà stranissima e della quale in paese, su a San Pietro, se ne è perduto persino il ricordo. Ma che la buon’anima di mia madre, quando ero piccino me ne parlava sempre. Le vedete laggiù quelle fascie cosi ordinate e coltivate? Orbene: ancora nel 1860 in quella località vi erano gli “stagni” che a qualcuno davano anche la terzana. Le nostre nonne, poverette, pur di guadagnare qualche cosa anche esse, scendevano all’alba dai casolari per immergere le gambe nell’acqua fredda onde raccogliere così, a costo del loro povero sangue, le avide sanguisughe che popolavano gli stagni.

Pare che al mattino la caccia fosse più redditizia. E pare anche che le sanguisughe di Andora fossero assai stimate dagli speziali, perché ve ne era sempre una forte domanda.
Certe barche di Alassio, chiamate “gondole”, che facevano il servizio postale dei piccoli paesi fino a San Remo, approdavano spesso alla nostra marina per l’incetta delle nere bestiole.
Il capo barca suonava a più riprese un grosso corno marino, che era il segnale convenuto. E le donne dei casolari scendevano a basso con l’arbanella di terra ove stavano a riposo le avide mignatte. Che si vendevano, anzi si barattavano, a dozzina. Perché il capo gondola dava alle donne, in cambio delle sanguisughe, della tela cicagnina, del filo bianco, dei bottoni e anche del caffè.
Una piccola industria tutta muliebre e nella quale gli uomini non mettevano mai becco. Povere vecchie nonne! Mi sembra ancora di vedere le loro carni doloranti, tutte segnate dai piccoli morsi neri che esse curavano frizionando fortemente con acqua del mare.

Una industria casalinga dolorosa, come vedete. Ma che non spaventava le nostre buone donne di Rollo, di San Bartolomeo e di San Giovanni. Tutt’altro. Vi si applicavano, si potrebbe dire con amore. Perché da quella loro attività ricavavano – senza così intaccare quei pochi marenghi nascosti nel trave del tetto – tutto l’occorrente per farci l’abito della Prima Comunione o della Cresima, che allora bisognava andare a prendere dal Vescovo di Albenga.

E molte delle nostre nere, ma belle fanciulle – perché Andora fu sempre fiera della bellezza delle sue donne – si facevano allora, a forza di sanguisughe, i corredi da sposa. E le future madri potevano ordinare la bianca culla d’abete per coloro che sarebbero poi venuti a benedire le piccole casette nascoste fra gli ulivi…”

Aprile 4, 2020
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