STORIE MARINARE #13 – BERGEGGI

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Anche Bergeggi, cittadina rivierasca dalle modeste dimensioni, può vantare un posto nell’antico libro “L’eroica epoca della vela” di Gio. Bono Ferrari e di tale narrazione vi riportiamo il testo integro.

La cittadina di Bergeggi

Ecco la piccola e marinara Bergeggi che gli antichi, ammaestrati dalle continue scorrerie dei pirati saraceni, avevano costruito in alto, in positura forte, sotto la protezione di un castello che i naviganti di Liguria chiamavano “L’Invincibile”.

Nel 1863, diceva un vecchio nostromo, il paese non arrivava a 450 abitanti. E di questi la ben quarta parte, e la più valida, era ancora sul mare.

Infatti erano più di cento gli uomini imbarcati sui bastimenti di Savona per i viaggi di lungo corso. Ed erano nostromi e marinai veramente di prima classe, ricercati dagli armatori per la loro serietà e per la passione per il mestiere del mare, che avevano ereditato dai padri, molti dei quali si dice avessero servito sulle fregate dell’Imperatore Napoleone I.

Infatti si ha notizia che vecchi padroni che dopo della caduta dell’Impero si erano associati con dei proprietari di velieri di Spotorno, Laigueglia e di Cervo per il traffico del carbone di legna.
Gli armatori ci mettevano il bastimento ed i Padroni il capitale per l’acquisto del carbone. Di questi padroni-mercanti, in paese, si ricordano, disse nostromo Griffo, i nomi di Rovere, Griffo, Viglienzone e di vari Padroni Fazio. Epoca 1830-1850.

A sua volta il vecchio Cap. Gaetano Serra di Savona, che ebbe al suo comando tanti marinai di Bergeggi, raccontò che questi favellavano spesso di quando i loro vecchi, audaci pescatori di corallo, disprezzando i vicini banchi della Gallinara, perché ormai troppo battuti, se ne andavano a cercare i rossi zoofiti sulle coste della Sardegna e della Barberia.

Erano ancora i tempi, quelli, in cui gli uomini validi erano tutti sul mare. A guardar le poche terre ed a curare i folti e allora generosi uliveti, rimanevano soltanto i vecchi e le donne. Nemmeno i fanciulli. Perché questi, a dodici anni, navigavano già quali garzonetti, a dieci lire al mese, sui velieri savonesi dei Minuto, Serra, Aonzo, Rebagliati, Becchi, Calcagno, ecc.

Di antichi Capitani di lungo corso si ricordano Cap. Giovanni Rovere, Cap. Viglienzoni e un capitano che durante un temporale fu colpito dalla catena dell’argano e portato via dal mare che spazzava la coperta.

Ricordi oramai antichi, che in paese si vanno sempre più affievolendo, forse anche perché Bergeggi, a oggi, non è più marinara. Infatti tutti i suoi uomini, salvo quei pochi che si dedicano esclusivamente all’agricoltura, oprano e lavorano attualmente negli stabilimenti industriali di Vado Ligure.

Dei nove figli che Bergeggi diede alla Patria durante la grande guerra, tre erano marinai: nocchiero Fazio Ernesto, Griffo Giovanni e Treccani Giacomo. E di altri suoi figli che anticamente, verso il 1860, avevano preso le vie del Plata, vivono a Buenos Ayres i discendenti dai tipici cognomi di Bergeggi: Griffo, Fazio, Ferrari, Rovere.

Ed anche a New York e a San Francisco di California vivono i figli di altri Fazio, di altri Rovere e di altri Griffo.

Degli antichi traffici dei carbonini

Molti paesi del ponente ebbero, specialmente nella prima metà del XIX secolo, numerosi velieri di medio tonnellaggio, addetti esclusivamente ai traffici del carbone vegetale.
Peculiarità di questi barchi il fatto che l’armatore-Capitano del barco era a un tempo il padrone del carico di carbone.

Di questi velieri, quasi sempre equipaggiati da uomini del parentado, che navigavano “alla parte”, ve n’erano a Savona, Bergeggi, Spotorno, Finale, Laigueglia,Porto Maurizio e Sanremo. Si trattava di scafi dalle 30 alle 70 T. armati generalmente a Leuto o a Leudo.

In certe spiagge l’appellavano Liuto, termine che consideriamo improprio perché si equivoca col nome dello strumento musicale. Erano tombolotti assai marini, ad una sola coperta e con due vele di maestra e di trinchetto.

A Bergeggi le chiamavano “barche”, a Finalmarina “battelli”, a Spotorno “Leuti”, a Laigueglia “fregate”, a Sanremo “laut”. Quelli di Porto Maurizio le chiamavano “tartane”. Ma erano un po dissimili, con grande vela latina e sartie a colonna.

Gli scafi dalle 30 alle 50 tonnellate trafficavano il carbone nei tanti approdi di Liguria. Quelli da 70 tonnellate portavano il carbone lungo le spiagge francesi, fin oltre Marsiglia.

In generale avevano nomi curiosi e strambi: “Il Valente”, “Carboniere”, “Non Si Fa Credito”, “Il Carbone Asciutto”, “Carbone di Corsica”, “Denari Alla Mano”, Carboniere Di Bergeggi”, “Carboniere Della Pietra”.

Il carbone più pregiato si caricava allora in Sardegna, Corsica e Maremma. Ma anche in certe plaghe ponentine si produceva dell’ottimo carbone. Il più “forte” era quello della plaga varazzina, che i carbonini portavano di preferenza in Francia. Ed a proposito del carbone di Varazze, vale la pena di riferire quello che i vecchi raccontano di quegli antichi traffici.

Si vedrà così come erano intelligenti quei modesti lupi di mare. Pare adunque che nei monti del Varazzino si facessero anche delle “infornate” di carbone d’ontano e di pioppo, più che altro per ripulire certi boschi cedui. Si sapeva che questo carbone, per la sua debolezza, non aveva che scarsa accettazione e lo si dava per pochi franchi al quintale.

Molti “padroni” ponentini, facendo un po’ i tonti, acquistavano detto tipo di carbone quasi per niente. E lo andavano a rivendere – e a prezzi salati – a Tolone, a Marsiglia e a Cette. Pare che detto carbone, macinato a dovere, avesse una grana vellutata e indicatissima per la fabbricazione di polveri da sparo. E pare anche che i francesi non seppero mai da dove provenisse quel carbone, perché i ponentini parlavano sempre di Talamone ed Orbetello ed altre spiagge maremmane.

Era tale la simpatica diplomazia di quei vecchi padroni di barca che quando, per esempio, ricevevano un magari pressante ordine per 50 tonnellate di carbone, ne portavano a Tolone o a Marsiglia soltanto 35 tonnellate, adducendo che non avevano potuto racimolare di più, pur recalando in molti approdi diversi. Metodo al quale non vennero mai meno, pur avendo a disposizione tutto il carbone che volevano. Questo traffico durò a lungo, ossia fino a che la chimica non trovò un metodo più razionale di raffinazione.

Soltanto allora quel redditizio e un po’ misterioso commercio ebbe fine.

Non ebbe però fine l’importante e regolare traffico del così detto carbone di legna forte tanto di Sardegna che di Maremma. Molte ditte rivierasche avevano in pugno i mercati del carbone, da Palermo a Barcellona. Un lavoro a quei tempi attivissimo e un po’ sui generis.

I “carbonai”, ad un tempo armatori e capitani del veliero e padroni del carico, formavano fra di loro come una chiusa confraternita.
I loro barchi, specialmente scune, così tipici e sempre neri e sempre carichi zeppi e con la <> accostavano alla <> di Genova e a mezzo della traballante plancia di prua scaricavano il carbone alla rinfusa, formandone delle enormi cataste.

Il carbone allora, quasi sempre del pregiato tipo detto di << legna forte >>, non si pesava, ma si vendeva a sacchi, un po’ alla carlona.

Questi velieri << carbonini >>, va da se, avevano in pugno tutto il traffico delle due Riviere non solo, ma erano ancora loro quelli che dominavano i mercati di Mentone, Nizza e dei paesi costieri francesi fin sotto Tolone. Nelle spiagge sicure e di buon approdo vi andavano a scaricare le panciute scune. Nelle spiagge aperte e soggette a tutti i venti, i rifornimenti si facevano con barche di minore tonnellaggio, approfittando del tempo messo al buono.

Queste barche per la rapidità della discarica erano chiamate, in gergo carbonino, le <>. Per una antichissima e tacita intesa – e tutti questi usi e costumi andrebbero studiati a fondo – i carbonini si erano divise le zone di scarico e di vendita.

I Camogliesi, per esempio, chissà perché, fin dall’epoca pre-napoleonica, sostenevano i traffici con il porto di Savona. Viceversa i Camogliesi, che l’avevano a due passi da casa, non s’immischiarono mai nell’approvigionamento dei paesi di Nervi, Quinto, Quarto e Sturla, che era fatto quasi esclusivamente dai velieri ponentini. Soltanto Genova era di tutti. Ma per i paesi delle due Riviere vigevano – ed erano rispettati – degli accordi tramandati forse di padre in figlio e chissà da quanto tempo.

Di armatori e di ditte carbonine si ricordano, fra le più antiche: i Vallega, il Pertusio, i Queirolo, il Poggi, l’Agnese di Oneglia, il Bertora di Loano, il Lagorio di Sampierdarena e un Massabò di Porto Maurizio. Quindi gli Schiaffino detti <> di Camogli, che ai loro tempi (1840-1865) erano arrivati a dedicare ai traffici del carbone ben dodici bastimenti di loro proprietà.

Un altro Camogliese , il Cap. Stefano Repetto, tenne in pugno, dal 1870 al 1885, il grande traffico con i porti di Provenza e di Spagna, arrivando a far viaggiare a un tempo, quale accaparratore del carbone maremmano, oltre quaranta bastimenti.

Vi furono inoltre gli intraprendenti fratelli Soldi; Paolo e Delfino; i fratelli Massa; Paolo Tonietti; la forte ditta Vincenzo Firpo e C., che ebbe per successori i Piceni, Gessaga e C.; i vari fratelli Sanguineti ed i vari fratelli Cignoni; il camogliese Cap. Angelo Dapelo e suo fratello Cap. Carlo Andrea; i Del Buono; i fratelli Quillici; i Guglielmini; i Crovari; il Cap. Simone Dapelo di Camogli, armatore di ben sei bastimenti; il Beppe dei Fiori e qualche altro che ci rincresce proprio di non ricordare più.

Della tipica e numerosa flotta dei bastimenti carbonini non ne esistono più che pochi scafi, dotati di motore ausiliario, che sono tenuti da genovesi, sestresi e camogliesi. I quali ultimi detengono ancora, fra gli altri mercati, quello di Palermo e d’altre città della Sicilia.

Ma nell’ultima epoca della vera vela, quando la grassa benzina non sporcava ancora le acque del nostro bel mare, molti di quei bastimenti dominavano, specialmente con il carbone di Corsica, persino la città di Barcellona ed i numerosi approdi della costa Catalana. Nelle spiagge aperte e nelle quasi selvagge calanche di Corsica v’erano sempre alla fonda di questi nostri velieri un po’ panciuti e neri che caricavano carbone per mercatarlo nei porti di Catalogna.

Mercati che poi, poco a poco, ci furono portati via dai tenaci e procaccini viareggini, che con scune, golette e brigantini affollavano sempre un cantuccio del grande porto spagnuolo.

Maggio 24, 2023
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